Al teatro San Luigi Guanella di Roma dal 27 al 29 novembre e dal 3 al 5 dicembre 2015 è andata in scena la commedia ‘L’incanto di Natale’ di Paola Nicoletti con Laura Troschel e Stefano Antonucci. Regia di Pier Luigi Nicoletti. E’ il sogno di un Natale diverso, oltre la solitudine, oltre la rassegnazione. Un incantesimo che rasserena il cuore di Alba, mamma di un figlio autistico. Ma è anche la constatazione di un dramma affrontato con il coraggio e la forza della speranza nel segno dell’amore più grande.
Recensione di Sebastiano Biancheri “L’incanto di Natale’ al teatro San Luigi Guanella di Roma
A distanza di un anno dall’esordio ritorna al teatro San Luigi Guanella lo spettacolo di Paola Nicoletti ‘L’incanto di Natale’, commedia dei buoni sentimenti e della forza di vivere, delicata elegia, lieve come una carezza, solenne e sacrale come una premonizione, che descrive mirabilmente e senza enfasi la vicenda dignitosa ed appassionata di una madre coraggio rapita infine dalla magia dell’ incantesimo. E’ la vigilia di Natale e Alba è assopita accanto al camino nel salotto di casa, cullata dolcemente dalle note di ‘White Christmas’ e dalla sedia a dondolo, i regali già predisposti e l’albero addobbato carico di luci. Il risveglio è fiabesco e altamente onirico, propiziato dall’attesa messianica che rinnova la speranza e riunisce i cuori. La sua esistenza fatta di semplicità ed onestà è densa di tribolazioni ma anche di occasioni che una straordinaria voglia di donarsi e di amare richiama senza ottenere per questo le conseguenze intraviste. Alba è una donna dall’aspetto fragile ma dalla natura indomita, pragmatica; ha lottato tenacemente per preservare una saggezza e un equilibrio con cui nutrire se stessa e i suoi cari. Un matrimonio finito ma illuminato dalla nascita di Cristina e Valeria e di Giacomo poi, autistico e su cui riverserà un sentimento traboccante. E’ un dolore che determina una frattura insanabile. Lo spettro della solitudine, l’angoscia di non farcela e poi un nuovo amore, Adriano, premuroso e gentile, che rappresenterà il suo riferimento costante, la sua ancora di salvezza. Quindi un altro figlio nato dalla loro unione, Filippo. Alba e Adriano si raccontano e nei loro gesti gentili, negli sguardi, nello scambio di impressioni traspare un’intesa e un sentimento profondi, fatti di rispetto e di attenzioni naturalmente elargite. Un banale incidente nel bosco in compagnia del cane Jack ha causato ad Alba una distorsione alla caviglia costringendola ad una immobilizzazione forzata e favorendo l’affastellamento dei ricordi. Su ogni mattone di quella casa che ha condiviso ogni loro palpito c’è scritto un pezzo di vita in comune. La vecchia sedia che apparteneva ad Adriano, un cimelio che ha custodito nel tempo i segreti di entrambi, diviene un interlocutore silente ma prezioso soprattutto quando lo sconforto e il bisogno di confessarsi è pressante. Una sedia a cui ha dato un nome, Agata, depositaria di un amore travolgente, rassicurante, un incendio al di là di qualsiasi ragionevole dubbio o paura, la libertà di decidere contro il perbenismo e le altrui convenzioni. Le immagini del passato arrivano sfuocate mentre le emozioni e le sensazioni sono nitide e palpabili perché la storia è parte integrante del suo presente di donna innamorata che dichiara al suo uomo quel senso di invitante turbamento. La ricerca di una vecchia ricetta porterà Alba al ritrovamento di un biglietto aereo per l’Australia mai utilizzato e le spiegazioni di Adriano sembrano dissipare il mistero di un segreto incomprensibile. L’intimità di una conversazione a tratti drammatica è interrotta dall’intrusione di una vicina molto invadente che anticipa il gradito arrivo dei figli e nipoti. Cristina, tutta libri e insegnamento, Valeria, amante dell’alta cucina, i rispettivi mariti, Giovanni buontempone partenopeo e Alessandro il dottore scrupoloso, le due nipotine. E ancora Luca, il nipote di Adriano e la compagna Beatrice. Ma soprattutto il figlio prediletto, Giacomo, sventurato e speciale, guarito ‘per miracolo’ da un medico dalle doti umane straordinarie. Abbattuto il muro dell’autismo, è ora in grado di guidare la macchina, viaggiare, lavorare in uno studio di grafica oltreché dipingere per propensione innata. E’ a lui che Alba ha trasferito un mondo di sogni, tra pena e speranza, con la determinazione di un’eroina greca, senza mai arrendersi all’evidenza. Con il contributo insostituibile del suo uomo che ha messo da parte i trascorsi da impenitente casanova diventando per sempre uomo e padre. L’orgoglio di entrambi per aver costruito una grande famiglia. Tutti insieme verso il naturale approdo, un composito nucleo allargato che a Natale ritrovano gli affetti mai venuti meno e le radici dell’anima. La vigilia conviviale, l’entusiasmo contagioso, i propositi del capodanno imminente. Non mancano le riflessioni delle figlie Cristina e Valeria che ripercorrono le difficoltà di un’infanzia comunque serena salvaguardata da un padre attento e dal compagno delizioso di una madre straordinaria. Il brindisi augurale e i tradizionali regali. Il rito viene interrotto da Cecilia, la vicina impicciona e rompiscatole ‘incastrata nella siepe’ per meglio scrutare le verità riservate di una famiglia esemplare. Esauriti gli ultimi scambi augurali con foto di gruppo, il sipario del primo atto si chiude sull’ inevitabile selfie. Quando ti interroghi sul senso della rappresentazione e sull’apologo misterioso che poteva sottendere alla trama, ha inizio il secondo atto con la medesima scena iniziale e ben presto comprendi che nulla è come appariva. La scenografia è più spoglia e Alba, adagiata sulla sua cara vecchia sedia a dondolo, si è appena risvegliata. Costretta dal gesso conseguente alla caduta per rincorrere l’autobus e con un vestito dimesso, legge per l’ennesima volta una cartolina inviatale dall’Australia da Adriano, volato via, che chiede perdono, incapace di sostenere un peso troppo grande. Fiera di avere piegato l’orgoglio, di averlo lasciato andare sereno, di essere riuscita ad andare avanti e a combattere da sola per i propri tre figli e anche per lui, di continuare ad amarlo nonostante tutto. La sorpresa vera è la visita inaspettata delle due figlie Cristina e Valeria, dei generi e delle nipotine che riempiranno il suo Natale in compagnia del vero grande unico uomo della sua vita, lo sfortunato Giacomo.
Ci rendiamo conto di avere assistito ad un sogno, a promesse incompiute e all’incanto di uno struggente coup de theatre. Una seconda parte di pochi minuti assolutamente sconvolgente. Il lavoro di Paola Nicoletti, madre di un ragazzo autistico, non tratta principalmente il tema dell’autismo che rimane ai margini della narrazione, né è una denuncia verso le inadempienze delle istituzioni. E’ semplicemente la constatazione che la guarigione rappresenta ancora un sogno per chi viene colpito da questa patologia e la difficile accettazione di un dramma familiare spesso compromette la stabilità di coppia impedendo la formazione di una nuova relazione consapevole governata dall’amore incondizionato. La protagonista in finale esprime così il suo sentimento: ‘Adesso sì che è Natale, quello vero’. La felicità è fatta di piccole cose e di gesti spontanei. I sogni devono essere alimentati perché gli angeli esistono e intervengono quando abbiamo perso la speranza e prevalgono solitudine e rassegnazione. E’ questo il significato del Natale. E’ la magia del Teatro, è ‘L’incanto di Natale’ che regala emozioni inebrianti, offre risposte inesplorate e inonda lo spirito di inatteso benessere.
Commedia scritta da Paola Nicoletti. Regia di Pier Luigi Nicoletti.
In scena al teatro San Luigi Guanella dal 27 al 29 novembre e ancora dal 3 al 5 dicembre 2015.
Gli interpreti. Laura Troschel e Stefano Antonucci: due attori eleganti e misurati, sensibili, scrupolosi e straordinariamente adeguati nei ruoli. Un cast formato da giovani promettenti, esuberanti e che hanno reso l’atmosfera natalizia appropriata e assolutamente godibile. Fra loro Niccolò Centioni, ‘Rudy nella serie televisiva ‘I Cesaroni’, emulo di Jim Carrey adolescente.