‘Il malato immaginario’ al Teatro Eliseo
Dal 6 al 25 maggio 2014 la Compagnia del teatro stabile di Bolzano ha messo in scena al teatro Eliseo di Roma ‘Il malato immaginario’ di Molière, ultima commedia scritta e interpretata dal grande drammaturgo francese che nelle intenzioni dell’autore doveva essere una farsa, una comédie-ballet. Sarebbe diventata invece quasi la sua biografia, il suo testamento spirituale. Fece appena in tempo a concludere la sua ultima replica: era venerdì 17 febbraio del 1673. E’ una commedia grottesca, intrisa profondamente di realismo, in cui le situazioni paradossali sono il pretesto per amare riflessioni e la vicenda tragicomica dell’ipocondriaco protagonista è l’occasione per una denuncia sferzante nei confronti della società e della medicina dell’epoca, depositaria di verità assolute prive di fondamenti scientifici. Viene messa in ridicolo la prosopopea e l’arroganza di presunti medici che, approfittando dell’ignoranza del volgo e della media borghesia, propongono rimedi inutili e mascherano la loro imperizia dietro a roboanti e improbabili citazioni di latino, che stordiscono il malcapitato paziente. Protagonista è il classico personaggio farsesco, ipocondriaco, timoroso e insicuro, lucido a tratti, circondato e plagiato da sedicenti guaritori avidi e imbroglioni che, fra inganni, equivoci e finzioni, lucrano sulla sua condizione maniacale e ne fiaccano le residue facoltà di pensiero. La trama racconta di Argante, un benestante borghese, amabile gentiluomo alle prese con la presunta malattia da cui è irretito al punto da diventare egoista e dispotico nei confronti di tutti coloro che osano dubitare del suo stato. Non ha interlocutori in grado di comprenderlo, non ha medici che possano guarirlo. Ha una fede cieca nella medicina e nei suoi metodi fasulli e a nulla possono i tentativi dei pochi che tentano di risvegliare in lui il dubbio della ragione. L’uomo ha una figlia, Angelica, innamorata di Cléante, ma promessa ad un medico inetto e imbecille che, nelle intenzioni di Argante dovrebbe assicurargli le migliori cure, e una seconda moglie, Belinda, donna infedele e priva di scrupoli, assetata del patrimonio del marito che non si avvede delle mire di lei. La serva Tonina lo mette in guardia dal prestare attenzione a medici ciarlatani il cui unico interesse è di far tesoro delle sue paure; invitata a rispettare la professione medica, viene redarguita e tacciata di ignoranza. Al rifiuto di Angelica di sposare Tommaso, figlio del dottor Diaforetico, nipote del proprio medico curante, dottor Purgone, e dottore strampalato anch’egli, il padre minaccia di rinchiuderla in convento. Il fratello Beraldo lo invita a rispettare la volontà di Angelica e a dubitare della moglie Belinda; lo accusa di essere succube delle sue fobie ed ostaggio di medici inaffidabili nutriti solo di arte oratoria, e di una medicina priva di qualsiasi efficacia. Il riferimento nel terzo atto del testo allo stesso Molière, definito insolente per le sue critiche alla medicina, è un colpo a sorpresa volto a rafforzare ancor più il ‘j’accuse’ dell’autore e la sua disillusione terminale. Infine alcuni stratagemmi orditi dallo stesso Beraldo e dalla devota Tonina contribuiranno a ‘guarire’ il malato immaginario che, dopo avere aperto gli occhi sulle bieche intenzioni della moglie e sul nobile sentimento della figlia verso di lui, acconsentirà al matrimonio di felicità. L’intermezzo finale che rappresenta la cerimonia burlesca della proclamazione di Argante a medico è l’apoteosi del ridicolo, il trionfo della vacuità in cui tutto è terribilmente possibile. E’ infine la liberazione di un malato immaginario, è la consapevolezza di un poveruomo non più a metà, a cui viene riconsegnata la dignità da sempre delegata. Molière ha rappresentato l’onnipotenza compiaciuta e il cinismo di una casta inetta e parassita che si autoriproduce sulle debolezze e le credulità di chi, disperato, alimenta la propria illusione per sopravvivere. Il malato immaginario è Molière, è un visionario, un solitario in un mondo di ipocrisia ed egoismo che rappresenta se stesso e la propria disillusione in un monologo che è l’ultimo auspicio di un oracolo senza tempo.
L’interpretazione di Paolo Bonacelli nel ruolo di Argante è semplicemente superba, gigionesca e comicamente irresistibile. Burbero e ingenuo, bisognoso di coccole, con lo sguardo smarrito e supplicante; convincente e a suo agio in ogni gesto ed espressione scenica. Il suo modo di bofonchiare a volte biascicando la propria inascoltata disperazione è resa con naturalezza ammaliante. Carlo Simoni è il solito gentiluomo di teatro, elegante, tono caldo e suadente, un Beraldo rassicurante ed affascinante. Patrizia Milani è Tonina, tuttofare spigliata che interpreta ogni ruolo, compreso il medico novantenne, con camaleontica disinvoltura e bravura. Gaia Insenga è Angelica, la giovane figlia, straordinaria e versatile, tenera e ammiccante. Giovanna Rossi è Belinda, impeccabile consorte avida e fedifraga. Tutti bravi gli attori. Un grande cast quello del Teatro Stabile di Bolzano, diretto da un regista d’eccezione, Marco Bernardi, sempre a suo agio con i testi classici. Pregevoli e accurati i costumi dell’epoca di Roberto Banci. La scenografia di Gisbert Jaekel è adeguata ed essenziale. Le luci sono di Giovancosimo De Vittorio.