ENZO IACCHETTI AL SALONE MARGHERITA IN ‘CHIEDO SCUSA AL SIGNOR GABER’
18 marzo 2015. Al Salone Margherita di Roma il Direttore Artistico Enzo Iacchetti si esibisce in uno show irresistibile: ‘Chiedo scusa al signor Gaber’ , omaggio al suo grande amico e indimenticato cantautore.
di Sebastiano Biancheri
Dal 18 al 29 marzo 2015 al Salone Margherita di Roma Enzo Iacchetti con ‘Chiedo scusa al signor Gaber’ ha riproposto uno show veramente speciale, una dimostrazione di profondo affetto verso un grande cantautore italiano di cui si sente la mancanza, ma soprattutto verso un amico vero e indimenticato. L’attore nella presente stagione sta contribuendo al rilancio di una istituzione del nostro panorama comico, musicale e di costume e lo sta facendo con professionalità, meticolosità e grande cuore curando la programmazione e l’offerta in qualità di Direttore artistico, al fianco del Produttore e Patron Nevio Schiavone e di un originale stand-up comedian come Demo Mura, consulente artistico e vero padrone di casa. Jacchetti sente l’urgenza di ribadire uno spettacolo già premiato come miglior live d’autore italiano nel 2010, giunto alle 120 repliche e che è anche il titolo di un disco di qualche anno fa. Lo show è il tributo a un grande musicista da parte di un singolare personaggio che irradia simpatia e buonumore, mattatore amatissimo dal pubblico di ogni età. La deferenza con cui l’Enzino nazionale si accosta alla produzione ‘meno impegnata’ di un enorme testimone del suo tempo mai abbastanza compreso che ha fatto la cronaca in musica di un’Italietta del boom narrando con bonomia e sarcasmo di fatti quotidiani, non si giustifica. Forse si dovrebbe scusare la schiera di sprovveduti che lo definiva qualunquista, impropriamente, senza averne titolo, sminuendo la figura e l’opera di un esteta dello sberleffo, poeta della canzone, moderno menestrello, tra i più apprezzati cantautori da almeno due generazioni di italiani. Mi riferisco alle incomprensioni e ai fraintendimenti di cui Gaber è stato fatto bersaglio nell’ultimo periodo e che lo amareggiavano profondamente. Quello di Iacchetti è stato un autentico, straordinario omaggio ad un artista impegnato, anarcoide graffiante, scomodo, un concentrato di ironia e sano cinismo, al di fuori del coro, osservatore attento e disilluso che ha sempre manifestato il proprio pensiero, controcorrente e contro ipocrisie e pregiudizi. Le contaminazioni di cui si tratta sono in realtà stravolgimenti impeccabili eseguiti con geniale maestria, ancor più pregevole perché rappresentano composizioni che includono ognuna vari motivi, di virtuosismo puro, tra equilibrismo vocale e musicale. I brani di Gaber rivivono riscritti insieme al maestro Giorgio Centamore con arrangiamenti arricchiti da inserti di varia provenienza con una surreale partitura che l’autore avrebbe legittimato e condiviso. No, non ha nulla di cui chiedere scusa Enzo Iacchetti che si avvale sul palco dell’accompagnamento al piano del maestro Marcello Franzoso e della triestina Witz Band, un trio di grandi musicisti, Loretta Califra, Fabio e Tony Soranno, divertenti e dissacranti, originali, briosi interpreti da decenni di un genere molto frizzante e un po’ demenziale. La scenografia pop è affidata alle sculture luminose e giocose di Marco Lodola. Due ore spassose, senza pause, con un ritmo forsennato che annienta l’anagrafe. Non ha nulla di cui chiedere scusa. Canta, balla, recita senza risparmio, manomette brani a lui tanto cari con sfrontatezza e rispetto, reinterpretandoli e adattandoli all’oggi. Lo spettacolo non tradisce le attese. Enzino alterna il cantato con monologhi e dialoghi che rendono l’atmosfera familiare, molto sobria, conviviale. Lo spettatore viene rapito da questa non comune forma di intrattenimento teatrale e dallo stile inconfondibile del protagonista, compassato e ironico, garbato anche nell’invettiva. A volte scade in qualche imprecazione ma non ne ha bisogno, non gli si addice e non se ne avvale. E’ subito ‘Trani a gogò’. Poi una esilarante stoccata alla Rete. Gli amici fasulli virtuali di Facebook e gli amici di una volta, sanguigni, vivi, che si conoscevano e si frequentavano. La moda maniacale del selfie. Le osterie dove la compagnia era sincera e un po’ stravagante. ‘Il Riccardo’ ne era l’emblema. Le vacanze dei milanesi al lago, i ciclisti pensionati forzati della bicicletta. ‘Com’è bella la città’, ironica accusa alle seduzioni del vivere nel contesto urbano. Un accenno alla splendida ultima fatica di Gaber, ‘Se ci fosse un uomo’, un saluto di speranza, un addio ad un Italia ancora medievale nell’attesa di un altro Umanesimo. Iacchetti tratteggia quindi le famiglie contadine di una volta e i figli a grappoli. C’è spazio anche per l’altro grande amico da poco scomparso, Enzo Jannacci, che con Gaber aveva costituito il gruppo ‘I due corsari’ e frequentavano insieme il Derby di Milano, il savio e il grottesco, un gemellaggio al limite della strana coppia. La parodia di Jannacci è da antologia delle comiche. La trascinante riproposta di ‘Una fetta di limone’ era doverosa. Un trattato sulla felicità introduce ‘Barbera e champagne’ con tracce di Zucchero e citazione rap di Jovanotti. E poi ancora ‘Torpedo blu’, L’orgia, ‘La ballata del Cerutti’, ‘Benzina e cerini’, ‘Porta Romana’ che diventa ‘Porto Romana’ e con note di ‘Vengo anch’io’ di Jannacci, ‘Ma pensa te’ . Così si conclude un repertorio racchiuso fra gli anni 60 e 80 scanzonato e divertente rivisitato da un interprete esemplare. Lungi dal proporre un’operazione nostalgia, di puro restyling commemorativo di un autore e di un’epoca che non c’è più, quello di Enzo Iacchetti si conferma esperimento attualissimo di teatro canzone, che si rinnova ogni volta. Un modo travolgente ed empatico di trasmettere un pezzo di storia d’Italia con leggerezza e tanta qualità espressiva e di insegnare alle nuove generazioni, che lo accolgono e lo acclamano, parte di un patrimonio culturale inesauribile definito leggero, preservato da Fondazioni e da artisti di buona volontà.