IL CONTE TACCHIA – COMMEDIA MUSICALE D’AUTORE AL TEATRO BRANCACCIO DI ROMA
Recensione di Sebastiano Biancheri del 14/06/2015
L’attesa è finita. L’11 e 12 giugno 2015 è andato in scena al teatro Brancaccio di Roma ‘Il Conte Tacchia’, commedia musicale ideata da Toni Fornari con la regia di Gino Landi. Protagonisti Pietro Romano nel ruolo di Adriano Bennicelli, il Conte Tacchia, e Maurizio Mattioli in quello del Principe Aldobrandini. Attorno a loro uno stuolo di artisti e ballerini per lo più giovani ed emergenti di indiscusso talento. Dopo lunga gestazione condotta con estrema cura e abilità promozionale tese a non disperdere sinergie sacrali ed opportune, la magia si è alfine compiuta. Attraversati di slancio imprevisti in corso d’opera che rischiavano di vanificare il rito propiziatorio, interpretati gli auspici, fugati i dubbi ed esauditi a pieno i desideri. E’ stato uno degli eventi a sorpresa del teatro Brancaccio di Roma messi in campo da una task force portentosa a conclusione della presente stagione. Preparato altrove con un accorto battage crossmediale ma soprattutto con indomita passione e fede visionaria, è divenuto la consacrazione di un progetto nato qualche tempo fa nel grembo di un piccolo teatro romano per rivendicare con orgoglio il senso di appartenenza a una città smarrita e a corto di memoria. Un’appendice esaltante che deve far riflettere in tempo di crisi su missioni impossibili e sulla becera ottusità e inerzia di detrattori e facili profeti di sventure e che dà la misura del potere delle buone idee e della qualità che il teatro ‘alieno’ del fare e dei buoni propositi può esprimere. Teatro Tirso e teatro Brancaccio insieme per una sfida condivisa e premiante. Un risultato eccellente, un gradimento di pubblico sovrano che anticipa richieste e impone offerte coerenti di produzione al vaglio e di prossima programmazione. Non è un musical di importazione. E’ finalmente una commedia musicale, di tradizione nazional popolare, che perpetua i fasti dell’operetta e da Garinei e Giovannini affonda le radici nella ‘romanitas’ e nella città di Roma che ne legittima il titolo e rivendica i diritti d’autore. Il tema in questione rende ragione della premessa. ‘Il Conte Tacchia’ è l’emblema della rivincita della plebe contro soprusi e angherie di un clero inquisitore e affamante, è la sbruffoneria blasonata che eleva e affranca, è la vicenda grottesca e un po’ fiabesca di un giovane figlio verace del popolo vissuto tra il 1865 e il 1925 ai tempi della Roma papalina. Un guappo dal cuore tenero con l’ossessione di entrare a far parte della nobiltà a tutti i costi, per essere rispettato e riverito come si conviene da discendenza. Questa è la ragione che lo avvicina ad un nobile vero, il Principe Aldobrandini, l’altra versione del nulla rivalutato, dai privilegi intoccabili e riconosciuti, dai modi bruschi e un po’ plebei ma dal magnetismo irradiante e da un bon ton più sbandierato che appreso. Diciamo subito che la narrazione è liberamente ispirata a una storia vera, quella di un personaggio assai popolare nella Roma umbertina e appartenente alla famiglia dei conti Bennicelli arricchitisi con il commercio del legname e per questo soprannominato ‘Tacchia’, pezzo di legno. Sempre elegante, in thight e bombetta, riottoso principe del turpiloquio e della vanità, cascamorto vanesio e molto beffeggiato, rappresentava se stesso e la cerchia dei parassiti che contano, diffondendo attorno a sé un’aura di leggenda. Passione per i cavalli e per il lusso, galante e guascone, insofferente verso i pizzardoni e il rispetto delle regole. Una devozione incondizionata verso il suo protettore di rango. Alle 21 dell’11 giugno Il Brancaccio èun’impressionante catino colmo nei suoi 1300 posti, un colpo d’occhio formidabile che accoglie gli artisti, e Pietro Romano e Maurizio Mattioli, introdotti dalla voce suggestiva di una superlativa Simona Patitucci, infiammano subito la platea. Il primo impersona un Conte Tacchia preparato da tempo con estrema cura. E’ il suo momento, lo ha inseguito con la consapevolezza trepidante di un erede al trono in lista di attesa. Di fronte ad un pubblico sovradimensionato ha il merito di non strafare e dà ancora una volta lezione di virtuosismo ‘imbarazzante’, una personalità ancor più imponente perché è al cospetto di un Principe per nulla addomesticato che di Mastro Titta serba grinta e mestiere e trasferisce nel personaggio aristocratico la scaltrezza gentilizia e la sapienza popolare che gli appartiene per grazia ricevuta. Pietro Romano non ha termine di paragone perché la sua tipicità di recitazione è naturalmente unica e irripetibile. Si conferma inarrivabile istrione, fuoriclasse della risata in un ruolo cucitogli addosso, sa fare tutto con irrisoria disinvoltura. Recita, canta, improvvisa a piacimento. Incanta nei panni di un conte fasullo, smargiasso e galante ma puro di sentimenti. Fa della spontaneità e della simpatia travolgente coadiuvate a talento un’arma che ammalia. Maurizio Mattioli ha accettato con grande spirito di tornare sul palco per dare una mano in una impresa che poteva sembrare in partenza una goliardata irta di rischi e si è rivelata un successo strepitoso, oltre ogni aspettativa. E’ il Principe che ti aspetti e come l’iconografia della romanità di fine 800 tratteggia: squattrinato e decaduto, donnaiolo e burlone, rude e poco incline alle smancerie ma nobile d’animo e pronto a redimersi. Un’esibizione da incorniciare, una maturità ricca di fascino e consigli utili. Accanto a due monumenti della romanità da preservare, un cast di livello assoluto. Bruno Conti è Filippo Bennicelli, padre putativo di Adriano. Ordinato conte da papa Pio IX, alias un inaspettato Toni Fornari, è un povero diavolo di falegname a cui il destino darà una seconda chance… Paola Giannetti è l’ostessa moglie di Filippo e dal passato che si disvela nel mentre. Caratterista d’esperienza, è a suo agio in ogni situazione di scena. Simona Patitucci è Annetta, figlia dell’ostessa e con un figlio, Lorenzo, da crescere fra mille insidie e spasimanti perdigiorno. Grande interprete di genere teatrale musicale, una voce inconfondibile. Emy Bergamo è l’affascinante Nina, spasimante combattuta del Conte Tacchia. Giovane attrice e cantante dalla personalità dirompente, ha già un palmares nutrito e la partecipazione in Rugantino al fianco di Enrico Brignano nel ruolo di Rosetta non è un dettaglio. Laura Di Mauro è l’enigmatica contessa- sciantosa smascherata. Avvenente, divertente, bravissima attrice e ballerina già attrazione del salone Margherita e dall’humor incontenibile. Matteo Montalto è il serenante, voce straordinaria. Ha curato recentemente la regia di ‘La Tosca’ di Luigi Magni. Giancarlo Teodori è lo spassosissimo lacché di altra tendenza della presunta contessa e insegnante di buone maniere del malcapitato Conte Tacchia. Ezio Passacantilli è il convincente Peppe, rivale del Conte Tacchia. Pronto a tutto pur di conquistare Nina ma è vittima sacrificale. E da ultimo gli attori emergenti. Marco Todisco, enfant prodige della serie de ‘I Cesaroni’ dall’età di otto anni e più volte al fianco di Enrico Brignano, conferma una crescita già ampiamente annunciata nel ruolo di Lorenzo. E’ ormai un promettente attore che maturerà con il tempo e farà tesoro della esperienza e della buona educazione ricevuta. Arianna Galletti, la piccola Sara fidanzatina di Lorenzo, è una rivelazione. Il suo destino è il teatro. Gran senso della scena, gestualità, dizione e vocalità sublimi. Recita e canta con naturalezza adolescenziale e disarmante padronanza. Puntuale e disciplinata in ogni situazione, è un talento puro da esplorare. Un’ esibizione cristallina che sorprende in una esordiente. Incantevole Sara! Completano il cast i ballerini Sandro Bilotta, Saria Cipollitti, Benedetta Imperatore, Federico Pisano, Marco Paolo Tucci, Adele Vitale e Francesca Zanon.
La bravura di Toni Fornari nella stesura di un testo che rielabora con un finale scoppiettante una trama già visitata, consiste , io credo, nel saper far bene due cose: provocare suggestioni orientando situazioni ‘inattive’ verso imprevisti rocamboleschi che a volte disorientano e comunque inducono lo spettatore a considerazioni mai banali e far riviver le atmosfere di un’epoca perduta e rimpianta con garbo ed ironia, malinconia mista a sarcasmo perché la vita è fatta soprattutto di passioni e sentimenti autentici, di vizi e drammi quotidiani che non puoi respingere. Allontanare la rassegnazione e afferrare l’attimo. Saper cogliere le opportunità e lasciarsi emozionare può materializzare il sogno. L’autore disegna la romanità di un tempo, le sfumature, i contorni più nitidi, con un coup de théatre dà infine l’impronta che si traveste da invenzione e la commedia si fa apologo. Toni Fornari è dotato di ‘multiforme ingegno’ e se non si fa imbrigliare da tentazioni di ricostruzioni storiografiche diligenti, non è indotto a concessioni di opportunità e lascia andare la sregolatezza illuminata di cui è naturalmente pervaso, firma capolavori d’autore. La sufficienza non gli si addice. ‘Non c’è due senza te’ è un sigillo d’altro genere che fa il pari con questo ‘Conte Tacchia’. Il contributo di un guru della commedia musicale come Gino Landi che cura la regia e la direzione del cast e ovviamente le coreografie, dà la misura del livello di eccellenza che lo spettacolo esprime. Talent scout come pochi. I balletti fantasiosi ed eleganti sono la quintessenza di un mito della commedia musicale. Le musiche originali, venti brani inediti, sono del maestro Enrico Blatti, compositore versatile stretto collaboratore di Toni Fornari nonché cultore di musica popolare. Le arie, le melodie, le serenate rievocano sonorità care al sor Capanna e a Romolo Balzani. Le scene di Gianluca Amodio sono preziose tavole allestite su piattaforma mobile di una Roma sparita, delle botteghe artigiane e delle osterie e, con i costumi sobri e raffinati della stilista Graziella Pera, riproducono con cura gli ambienti e le mode dell’epoca.
Infine onore al merito e profonda stima verso colui che ha accettato la sfida senza paure, profondendo energie titaniche, con un investimento consistente, una forma di asset management di ampio respiro, un’onda lunga. Un progetto cresciuto in pochi mesi e che ha letteralmente ‘prodotto’ un risultato davvero superbo. Parlo di Achille Mellini, gladiatore della romanità, giovane lungimirante e determinato Direttore artistico del teatro Tirso de Molina, un piccolo grande tempio dell’arte. Questo ‘Conte Tacchia’ è soprattutto una sua creatura. E’ il Teatro che ci piace, quello che viene dal cuore ed è fatto di proposte intelligenti.